Mi sono sempre chiesto perché un’immagine in bianco e nero, che fosse una fotografia o la scena di un film, venisse comunemente associata ad una strana idea di arcaicità consumata, appartenente ad un mondo superato, di una realtà che non meritasse più la nostra attenzione e la nostra curiosità. Crescendo ho capito che non c’era una vera e propria ragione logica, a parte naturalmente il grande condizionamento che i colori hanno sul nostro sistema emotivo, piuttosto la risposta consisteva in una motivazione di tipo sociologico. La costante frenesia quotidiana, entrata a far parte prepotentemente nelle nostre vite come elemento “innovativo”, non ci permetteva di guardare al passato se non attraverso una lente futuristica. L’ossessiva promozione di una condotta di vita basata su una logica di consumo ha istituito nuovi parametri di gradimento, da una parte favorendo quei soggetti che potessero vantare un’immediata capacità attrattiva, dall’altra penalizzando tutti i soggetti che non possedessero questa capacità.
È una logica di mercato chiara, cinica ed efficace. È lo stesso motivo per il quale un bambino sceglierà i gusti del proprio gelato in base ad un maggior impatto visivo, essendo istintivamente attratto dai colori più appariscenti, tenderà a comporre il proprio cono gelato con dei gusti dalle tonalità arcobaleno. Per quanto banale esso sia, l’esempio appena descritto non è altro che una fedele riproposizione di ciò che accade puntualmente nel momento in cui ci troviamo di fronte ad una scelta. Il problema è che non possiamo più vantare un età in cui le nostre Nonne ci accompagnavano in una gelateria e in cui la nostra sprovvedutezza era quantomeno giustificata dalla nostra altezza. Oggi purtroppo abbiamo esaurito il bonus, quindi dovremmo saper scegliere autonomamente, fra tanti, i gusti più genuini e meno nocivi. Dovremmo.
Qualche giorno fa, passeggiando per il corso di Viterbo, mi aveva incuriosito una grande immagine in bianco e nero situata sotto l’insegna dello storico cinema Genio. Avvicinandomi potei constatare che la scena ritratta nella grande locandina apparteneva ad un età d’oro del cinema italiano, in cui la distanza tra gli autori e gli spettatori era notevolmente ridotta, e nella quale durante una proiezione, non molto distante dalla tua seduta, poteva sedere un Mastroianni qualunque. Incredulo notai che si trattava di una riapertura. Ora, qualsiasi ragazzo che più o meno abbia un età compresa tra i 20 e i 30 anni trova naturale associare l’idea di cinema a quella del centro commerciale per il semplice fatto che il suo “incontro” con le proiezioni cinematografiche avviene all’interno di grandi agglomerati commerciali. Le stesse sale godono di una strumentazione tecnologica in continuo rinnovamento e offrono allo spettatore un confort talmente gratificante che finisce per essere la vera attrazione.
Tutte le volte in cui mi siedo in una di queste sale all’avanguardia vengo avvolto da una strana sensazione fatta di malinconia e di inquietudine, forse perché andare al cinema ha assunto lo stesso significato di andare in un supermercato, o in un negozio d’abbigliamento. Ho un piacevole ricordo di quando mio padre ci annunciava ufficialmente che quella sera stessa saremmo andati al cinema, e non c’era soltanto la voglia e la curiosità relative alla fattispecie del film, c’era anche una sorta di atmosfera magica che caratterizzava quel luogo, lo stesso odore del legno delle poltrone comunicava qualcosa di saggio, di autorevole, mentre il pesante tendone che precedeva le sedute sembrava volesse ambire al ruolo di guardiano di un mondo parallelo, quel mondo che era al di là di esso. Quando la mia mente presta attenzione a questo tipo di rievocazioni riesco, anche se in minima parte, a provare le stesse sensazioni che allora sembravano provenire da un universo a se stante. Ebbene, a distanza di anni ho ritrovato la stessa magia e gli stessi odori con il medesimo quantitativo.
Passeggiare per le vie di una città semivuota, di un giovedì sera in cui la luce dei lampioni sembra prestare attenzione ai soli edifici che la circondano, quando la voce stridula dell’acqua di una fontana può finalmente predominare sulle altre voci, sugli altri suoni, e quando carico di tutto il fascino immagazzinato nei viali ti ritrovi quasi improvvisamente di fronte ad una vetrata illuminata di un vecchio cinema. I saluti iniziali. Dei volti felici, genuini, non gli stessi volti che popolano i grandi multisala più gettonati, quei volti segnati da uno shopping frenetico e isterico che si è appena concluso. La proiezione, i silenzi, la concentrazione, lo stupore. L’applauso del pubblico che sancisce la fine della proiezione. Compaiono il regista e la protagonista, di nuovo applausi. Poi domande, risposte e riflessioni. Il saluto finale e l’uscita. La soddisfazione stampata sui volti, espressa in gesti e comunicata dalle parole. Una inconsueta forma di appagamento derivante dalla consapevolezza di aver passato una serata magica, sospesa nel tempo.
Non intendo fare degli elogi o quant’altro, la mia è una sorta di sollecitazione, di sostegno morale, di avvicinamento di pensiero affinché questo tipo di realtà si riappropri del suo spazio e del suo tempo, ed è per questo motivo che avvenimenti di tale fattura debbano essere considerati come pedine fondamentali per il ripristino di quel progresso socio-culturale che si è arrestato nella metà degli anni ’70. La riapertura del Genio è la riconquista di un territorio passato sotto mano nemica, le numerose e vecchie realtà cinematografiche, che quotidianamente sono costrette a non pochi sacrifici per la loro sopravvivenza, sono delle cellule rivoluzionarie pronte ad innescare una rivolta, una battaglia di tipo culturale che si estenda su tutto il territorio nazionale. Quello del cinema non può e non deve essere un ruolo passivo, il cinema non può vestire i panni di un’unità di produzione, di una mera variabile dell’universo commerciale, ma bensì interpretare se stesso, con le sue funzioni originarie e tutti i suoi aspetti che facevano di esso un dispositivo fondamentale per un corretto cammino di un progresso sociale ed umanistico.
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